giovedì, ottobre 28, 2010

Energia che sale, energia che scende...


E' curioso e interessante notare come i due principali sistemi orientali di disciplina psico-fisica dell'oriente, lo Yoga e le Arti Marziali, differiscano su alcuni punti pur avendo parecchie analogie. Prima di parlare delle differenze, direi che una importante analogia sta nel "controllo dell'energia", che in India si chiama Pranayama e in Cina si chiama Qi Gong. L'energia vitale è essenziale per il benessere fisico e anche per lo sviluppo della consapevolezza. Per questo i due grandi sistemi si preoccupano di indirizzarla esercitandone l'acquisizione e lo sviluppo. In Occidente ci occupiamo soprattutto, secondo il punto di vista "materialista" cui siamo abituati, delle componenti strettamente fisiche: masse muscolari, chimica del corpo, sistema osseo. L'"energia" per noi occidentali, tutt'al più, può essere in relazione con gli scambi metabolici, con i componenti dell'alimentazione - sempre valutati dal punto di vista dei costituenti materiali, proteine, grassi, vitamine, con il sistema nervoso... L'Oriente (intendendone la Tradizione) parte dal punto di vista opposto: prima l'energia vitale, poi la valutazione eventuale delle componenti esclusivamente fisiologiche. Tuttavia, come accennavo all'inizio, esistono rilevanti differenze sul trattamento di questa forza vitale operato nello Yoga e nel Qi Gong delle Arti Marziali cinesi. L'energia viene fatta circolare nel corpo e nella psiche da tutti e due i sistemi, viene mobilizzata ed esercitata, ma lo Yoga lo fa generalmente nel senso ascendente, mentre il Qi Gong tende a portarla verso il basso. Se prendo ad esempio una Kriya - cioè una serie di esercizi dello Yoga predefinita e in sequenza - posso notare che, tranne casi specifici, si lavora a cominciare dalla parte bassa del corpo, per esempio dalle gambe, per passare all'addome, alla spina dorsale, al torace e ai polmoni, alla testa, per finire con la "mente" mediante l'utilizzo di meditazioni e mantra. Perfino il rilassamento profondo e completo di questa disciplina segue lo stesso ordine: dai piedi, via via rilassando tutti gli arti e gli organi fino al viso e al capo. Insomma si va in senso evolutivo dalla Terra verso il Cielo, secondo il percorso dell'energia del risveglio, la Kundalini. Diversamente si esercita l'Estremo Oriente, dove il percorso più frequentato sembra essere esattamente l'opposto: dall'alto verso il basso, dalla testa in direzione dei piedi, dal Cielo alla Terra! Una serie-tipo di esercizi Qi Gong, per esempio i Baduanjin (gli Otto Pezzi di Broccato), comincia con l'esercizio detto "Sostenere il Cielo" e finisce con "Sollevare i Talloni", attivando progressivamente tutte le parti del corpo nel senso discendente. Perfino il rilassamento profondo, nelle tecniche cinesi, comincia dalla testa e finisce ai piedi, e non è tutto: nella Medicina Tradizionale Cinese, in Agopuntura, generalmente gli aghi vengono posti prima nei punti più in alto per andare verso quelli in basso! Che significato può avere questa differenza fra India e Cina? Perchè le tecniche indiane vanno dalla Terra al Cielo e quelle cinesi dal Cielo alla Terra? Personalmente penso che i due movimenti - ascendente e discendente - siano altrettanto importanti, e sono accostabili dal punto di vista funzionale al "Solve et Coagula" dell'Alchimia: uno scioglie e spiritualizza, l'altro attiva e concretizza. Le due Tradizioni, in realtà, adoperano entrambe le modalità, non sono davvero così unidirezionali, però in senso complessivo sono vere le osservazioni fatte e le tendenze dei due sistemi sono quelle descritte. A questo punto necessita una osservazione sui punti di vista dell'India e della Cina, sulle differenti tendenze religiose e filosofiche, sulla loro visione della vita. L'India infatti è portata soprattutto al distacco dal mondo, all'ascesi. La Cina e l'Estremo Oriente tendono maggiormente al coinvolgimento nel mondo, all'equilibrio raggiunto in esso...

lunedì, giugno 15, 2009

La regola del "settanta-per-cento".


Un'interessante regola che talvolta viene consigliata quando si imparano gli esercizi Qigong è quella detta del "settanta-per-cento". Tale regola, in effetti, va benissimo anche per lo Yoga indiano, con il quale le discipline cinesi hanno parecchi elementi analoghi. In sostanza si tratta di questo: nel praticare gli esercizi è importante non strafare, cioè non cercare di portarsi oltre il proprio limite di flessibilità o di resistenza. Al contrario è molto meglio non raggiungerlo questo limite, rimanervi al di sotto: invece di raggiungere il 100% delle proprie possibilità, è meglio praticare portandosi soltanto fino al proprio 70%! Soltanto con la costanza, l'intelligenza e l'equilibrio in ciò che si sta facendo si assimila correttamente e si migliora, crescendo e ampliando i propri limiti, non con lo sforzo brutale. Personalmente mi è capitato diverse volte di constatare che gli esercizi ginnici da palestra, quelli occidentali (non quelli che risultano da rielaborazioni delle tecniche orientali come lo stretching), sono generalmente caratterizzati da sforzo e ripetitività - già da questo si intuisce la visione del mondo che ne è alla base: il corpo è una macchina, e come tale viene esercitato; la psiche interviene in questo processo solamente con il suo potere di direzionare lo sforzo e di sostenere la durata dello stesso e la resistenza. Non ha valore l'esercizio in sé, bensì l'obiettivo da raggiungere: la tonicità muscolare, lo "scarico" delle energie nervose, eccetera. Le pratiche orientali hanno caratteristiche piuttosto diverse: ogni esercizio va apprezzato istante per istante - focalizzando non tanto sulla resistenza quanto sulla percezione e l'apertura alle sensazioni anche interiori oltre che fisiche. Senza sforzarsi, ma rimanendo al di sotto delle proprie possibilità, gradualmente si trasforma il proprio assetto fisio-energetico, ci si modifica, si assimila completamente il senso di ciò che si sta facendo, si acquisisce quella moderazione e quell'equilibrio che - sul piano del corpo - sono i corrispettivi di ciò che la saggezza è sul piano spirituale.

lunedì, maggio 04, 2009

Kum Nye Yoga


Una tecnica yogica molto interessante è lo Yoga Kum Nye, proposta in occidente da un lama tibetano - Thartang Tulku - che la insegna in America da 30 anni o più. La sua origine è nel buddismo Mahayana del Tibet, ma affonda le radici in un nucleo molto antico di pratiche in relazione con lo Yoga indiano, il Qi Gong e il Taiji, la Medicina Tradizionale Cinese. "Kum" indica il "corpo sottile", cioè la natura invisibile della nostra esistenza (che anche nel buddismo giapponese si chiama "ku"). "Nye" esprime un processo di interrelazione, una sorta di influenza positiva, di "massaggio". Quindi, probabilmente, potrebbe tradursi - sia pure in maniera riduttiva - come "massaggio del corpo eterico". In fondo non siamo distanti dal significato di "Qi Gong", cioè di lavoro o esercizio sull'energia vitale...
Una chiave importante di questa tecnica è il rilassamento: i movimenti che propone, come anche le posizioni in immobilità, la respirazione e gli auto-massaggi veri e propri, assumono la maggior parte del loro significato e del loro valore nello scioglimento della tensione sia fisica che psichica. L'attenzione del praticante è volta alle sensazioni fisiche e interiori che gli esercizi producono, cercando di percepirne ogni sfumatura, ogni tono e sotto-tono, senza necessariamente elaborare nulla, senza andare alla ricerca di particolari obiettivi, ma semplicemente accrescendo la sensibilità e la capacità percettiva. Questo prestare una quieta attenzione, via via che si approfondisce il Kum Nye, si colma di serenità gioiosa, allontana dalla tesa contrazione che accompagna - spesso inavvertita - le nostre vite, e apre ad una maggiore espansione del cuore, della mente, dei sensi.
Il valore del Kum Nye è in profonda relazione con il Buddhayana, cioè con la Via del Buddha in senso generico, ed è una preparazione fisio-psichica per la meditazione più propriamente detta, così come le singole scuole possono intenderla.

mercoledì, aprile 15, 2009

Yijinjing - gli esercizi del contadino


Forse quel particolare contadino era stato un soldato, un militare esperto nelle arti della guerra, e ora si era ritirato a vita privata, a coltivare il campicello e pensare alla sua casa. Forse, invece, non aveva mai combattuto e aveva sempre lavorato la terra con le mani, con attrezzi rudimentali e l'aiuto dei buoi. Aveva, però, visto molte volte i soldati sfilare per il suo paese, talvolta in modo trionfale, pronti per la guerra, talaltra stanchi e laceri, di ritorno da difficili spedizioni, sconfitti o vincitori. La curiosità l'aveva spinto a guardarli con interesse e spesso li aveva osservati impegnarsi in esercitazioni con la spada, la lancia o a mani nude, da soli, in coppia o in fazioni contrapposte, muovendo il corpo in maniera elegante, concentrata, eseguendo gli esercizi delle arti marziali tramandati da tempo immemorabile. Esercizi che, in combattimento, potenziavano le forze e le possibilità degli uomini conferendo loro l'aggressività della tigre e la potenza del drago, l'eleganza dell'airone e la flessibilità della scimmia. Sia che quel contadino fosse stato in passato un combattente oppure no, concepì nella sua mente un proposito: avrebbe dato una dignità alla sua attività, ai movimenti del suo lavoro ripetuti ogni giorno, per mesi, per anni, e avrebbe trovato in essi quella stessa forza, il Qi, che i militari sapevano evocare nei loro esercizi marziali. Dopo lunga e attenta riflessione elaborò una sequenza di dodici movimenti che, pur strettamente legati alla sua attività di contadino, potevano portare l'equilibrio fra Yin e Yang, sollecitare l'energia vitale e preservare o recuperare la salute. Questi movimenti mimavano l'osservazione del cielo e delle stelle, la fatica del sollevare dei pesi, del trasportare acqua, di portare fascine sulla schiena, di tirare i buoi per farli camminare e guidarli nell'attività di arare il terreno. Fatti con armonia e uniti alla respirazione potevano tonificare tendini e muscoli, fortificare le ossa, scongiurare le malattie dovute al duro lavoro, all'esposizione alle intemperie, alla pioggia, al caldo, al freddo, al vento e alla polvere. Essi erano gli esercizi dello "Yijinjing", e il loro benefici non erano inferiori a quelli delle consuete arti marziali...

martedì, aprile 14, 2009

Taiji Shibashi Qigong



Una serie interessante di movimenti è quella del Taiji Shibashi Qigong, una forma di Qigong molto semplice da imparare e adatta ai principianti, come anche ai praticanti progrediti che possono utilizzarla per il riscaldamento. Sono 18 movimenti ("shibashi", appunto) ispirati al Taiji, che vengono però attuati alla maniera Qigong, cioè come una serie di esercizi in sequenza per accrescere il controllo del Qi, del respiro, la flessibilità e la salute in generale. Gli esercizi possono essere eseguiti singolarmente, oppure in gruppi, anche se praticare la serie completa è senz'altro consigliabile. In realtà, comunque, esistono diverse serie "Shibashi", almeno sette, con varianti e particolarità specifiche - ma la prima è anche la più semplice e diffusa. Personalmente consiglio di imparare questo tipo di sequenza di esercizi poco per volta, cominciando con due o tre movimenti e aggiungendone altri quando si è ben certi di avere assimilato i precedenti. Si arriva a diciotto con gradualità e naturalezza in un tempo realtivamente breve. D'altra parte non serve affrettarsi, perché questo tipo di pratiche devono entrare nella nostra vita, essere elaborate e digerite, mettere fondamenta, diventare parte di noi. Il progresso, con un pò d'impegno, è continuo. Il Taiji Shibashi è relativamente recente, essendo stato approntato (ispirandosi, naturalmente, alle discipline tradizionali) da alcuni Maestri cinesi di arti marziali alla fine degli anni '70 - inizio '80 proprio per offrire una semplice serie Taiji adatta a tutti e con effetti positivi sulla salute. Degno di a nota è che tutti i 18 movimenti possono essere eseguiti con piccole varianti in posizione seduta e, quindi, sono adatti anche a persone disabili o convalescenti. Per chi già pratica altre serie Qigong costituiscono un'ottima sequenza di riscaldamento e di apertura, anche se il Taiji Shibashi offre dei buoni risultati in sé, senza bisogno di aggiungervi altro. Per cominciare direi che vi si può dedicare uno spazio di 10-15 minuti al mattino prima di iniziare le attività giornaliere e, se ci si riesce, anche la sera.

giovedì, febbraio 14, 2008

Effetti psicofisiologici del Qigong.



Il Qigong è una metodica cinese che serve a promuovere la salute e a curare alcune malattie. In effetti esso è parte della Medicina Tradizionale Cinese, e può essere paragonato almeno in parte a certe tecniche respiratorie o meditative occidentali, come anche allo Yoga indiano o a forme di meditazione come lo Zen giapponese. Naturalmente il paragone trova anche i suoi limiti, soprattutto nel fatto - io credo - che più che una pratica "mistica" o religiosa il Qigong abbia il dichiarato obiettivo di essere una tecnica terapeutica per il bilanciamento di Yin e Yang e il controllo della mente (shen) e dell'energia vitale (qi). Esistono evidenze di tipo clinico e ricerche scientifiche condotte con il metodo occidentale che attestano l'influenza che il Qigong può avere sui vari sistemi dell'organismo umano, inclusi cambiamenti rilevati nell'elettroencefalogramma (ECG) e nell'elettromiogramma (EMG), come anche in evidenze fisiologiche relative a cuore, polmoni, pelle e altro. Esistono report che attestano la positiva influenza degli esercizi Qigong sull'ipertensione, l'asma, le malattie delle coronarie, l'ulcera gastrica e duodenale, la colite. Inoltre sono stati documentati effetti terapeutici per l'insonnia, la depressione, gli stati ansiosi e alcune sindromi di tipo nevrotico. In effetti, pur non avendo affrontato la pratica del Qigong con particolari patologie da risolvere, posso testimoniarne personalmente l'efficacia sullo stato generale di salute, sulla sensazione di vitalità e benessere, come anche ritengo rilevante la grande semplicità e adattabilità a tutti - anche ad anziani, malati più o meno gravi e disabili - di queste tecniche.

giovedì, dicembre 20, 2007

Baduanjin.


Sto praticando una serie di esercizi cinesi che va sotto il nome di "Baduanjin" che significa "gli otto pezzi di broccato". Il nome è immaginifico e fantasioso come tante cose che vengono dalla cultura cinese e, contemporaneamente, sempre in linea con questa cultura, indica una tecnica molto semplice ed efficace. Ci si può sorprendere della semplicità di questi esercizi, soprattutto se si conosce la loro storia e i benefici decantati: essi hanno ridato forza e vitalità, si dice, ad antichi asceti meditanti, costretti a lunghi periodi di immobilità. Forse, addirittura, si tratta di una serie di esercizi all'origine dell'attività ginnica degli Shaolin. Così si dice. Esistono anche altri racconti altrettanto suggestivi, però - per tornare a noi - devo dire che in un primo momento questi movimenti sembrano eccessivamente semplici. Viene da pensare che possano essere incompleti nel favorire una buona forma fisica. Eppure posso testimoniare che eseguendoli con costanza, cercando di migliorare e incrementare la loro esecuzione, ponendo attenzione alla giusta concentrazione e alla respirazione correlata, si comincia gradualmente - dopo qualche giorno - a percepire una sensazione di grande vitalità fisica e mentale: in breve si sente che fanno bene! Conosco i baduanjin da molti anni, ma è la prima volta che li sto utilizzando per una pratica regolare e costante. Non posso ancora dire molto di più, essendo in una fase di sperimentazione. Però comincio davvero a credere che l'effetto di questi semplici movimenti non sia tanto limitato e superficiale come si può pensare. Mi riprometto di scriverme ancora.